Il Teatro Civico 14 diventa un tempio rovinato dal tempo con riti, oracoli, miti scomposti che si innestano intorno alla figura della sacerdotessa Pizia e della sua assistente/segretaria. Tutto scardina credenze e atmosfere sacre che assumono un sapore industriale.
Parastasi kitsch è liberamente ispirato al racconto “La morte della Pizia” di F. Durrenmatt, scritto da Fabiana Fazio e successivamente diretto e interpretato dalla stessa Fazio e da Irene Grasso.
Lo spettacolo racconta la preparazione della sacerdotessa (Fabiana Fazio) ad accogliere i “clienti”. La prescelta da Apollo lamenta le tante ore di lavoro impiegate soltanto a dire menzogne. Il testo si attualizza con riferimenti alla ricerca di un posto fisso da parte dei giovani nella società odierna. L’amministratrice (Irene Grasso) redarguisce, a più riprese, la sua impiegata svogliata alzando la voce e facendole comprendere che il business giustifica bugie affidandole al fato. La scena iniziale è riempita da una scala sulla cui sommità vi è una seduta, si tratta del basamento dal quale saranno letti gli oracoli, l’atmosfera si preannuncia molto poetica. Successivamente, all’ingresso delle attrici, il clima sfuma repentinamente. La pièce è da dividersi in due maxi-scene, la prima statica, a tratti ripetitiva, dai toni comici e dissacranti, la seconda frenetica, elettrica e iterativa. Il testo è fresco e ha un sapore “americaneggiante”. Tecnicamente valida, la Fazio risulta coerente con il suo personaggio fresco e, senza fronzoli, mantiene un ottimo ritmo dei dialoghi. Spiritosa, divertente, riempie la scena con la sua mimica non edulcorata. La Grasso amplifica le battute con voce di gola quasi sempre, cala il volume soltanto con l’utilizzo del microfono direzionale utilizzato nel momento in cui accoglie la clientela. Appena illuminata dai fari, accesi in piazzato pieno, la sua camminata perde l’atteggiamento dinoccolato che possedeva inizialmente. Forse l’intento registico era quello di “oleare le giunture” di un personaggio che resiste al tempo. Il finale vagheggia alla ricerca di un “non concetto”, volontà del teatro contemporaneo, tuttavia inciampa nelle formule del messaggio sociale. Cinquantacinque minuti spesi all’insegna della spensieratezza.
Michele Brasilio