Profughi e terremotati
Di Michela Salzillo
A volte è proprio il caso di dirlo, la miglior parola è quella che si tace. In questi giorni, però, stare zitti sembra un mestiere difficile. Lo è sempre in verità, soprattutto quando il silenzio dice cose assordanti. Quando il dolore non è un’esistenza insoddisfatta, ma è milioni di vite che non ci sono più; è la coscienza che impazzisce nell’assegnare colpe e responsabilità senza soluzioni. Bandiere a mezz’asta e minuti di riflessione, appaiono come forme di rispetto poco oneste, dinanzi alle tante polemiche che stanno facendo deragliare il confine tra lecito ed esagerato. Che ben venga l’immagine di un’Italia solidale, il Paese pronto a sbracciarsi maglia e camicia per sostenere chi non ha più niente, chi sta vivendo il nulla vero; quello che non conti fra piatti rotti e tetti distrutti, ma l’altro che trovi negli affetti che hai perduto, insieme alla normalità. È facile stare a commentare lontano da quella polvere, affidare alle riflessioni sul divano di casa l’accusa al politico di turno o alla beneficenza troppo manifesta. Sicuramente un fondo di esibizionismo, dietro tutto questo fare, c’è, ma vista la situazione, forse faremmo meglio a tenercelo per noi. Non per omertà, ci mancherebbe, ma semplicemente perché a quelle famiglie di queste polemiche da mercato importa ben poco. Che sia necessario vigilare sul corretto investimento dei fondi giunti a cassa, oggi e pure dimani, è assoluta verità. Tutto quello che viene dopo, però, resta rumore bianco. Nonostante le smentite, la cosa più sconcertante è la perseveranza di chi ancora alimenta il ciclo delle false notizie.
Dal grado di magnitudo che sarebbe stato declassato da 6.2 a 6.0, per destinare i soldi del numero solidale alle tasche delle banche, anziché a sostegno dei terremotati; a tutta la questione legata ai profughi e “ai loro alberghi di lusso”
Purtroppo, è impossibile negare che, così come diventiamo coraggiosi nelle difficoltà, siamo anche bravi a degenerare.
Magari in alcuni casi è pure un comportamento inconscio, ma a perdere il senso del reale ci impieghiamo ben poco. Per fortuna c’è chi non ci sta ad essere invischiato in queste sentenze gratuite, soprattutto quando si tratta di mantenere la chiarezza ai piedi della verità, quella che, ad esempio, non può confondere un profugo con un terremotato, dando all’uno la colpa del destino dell’altro. Risale a qualche giorno fa, la testimonianza di Francesca Spada, un’abitante di Amatrice, che sul suo profilo facebook, scrive:
“La mia casa di Amatrice è inagibile. Non è la mia prima casa, quindi un posto dove andare ce l’ho. Ma posso assicurare che a nessun amatriciano sentirete dire che bisogna cacciare gli immigrati dagli alberghi per metterci i terremotati. Primo perché per chi ha vissuto un dramma così, la solidarietà è un sentimento molto forte – specie se sei vivo solo grazie a chi ti ha aiutato. E uno che scappa dalla guerra lo senti un po’ un tuo simile. Secondo, perché ad Amatrice era ospitato un gruppo di richiedenti asilo, a cui tutti si erano affezionati – sì, si possono percepire gli immigrati come parte della comunità. E perché l’altra notte erano anche loro a scavare, e perché anche qualcuno di loro sta sotto le macerie . Quindi grazie lo stesso, e accoglienza per tutti quelli che ne hanno bisogno, senza ‘noi’ e ‘loro’.”
È probabile che queste parole le abbiate lette da qualche altra parte, ma non importa, non è l’esclusiva che cercavamo. Ciò che ci sta a cuore, è provare ad attraversare i pensieri di chi quei crolli li ha guardati in faccia, così da ridimensionare il grado giudicante di certi pareri, quegli stessi che con prepotenza stanno ferendo il silenzio che bisognerebbe mantenere, dando credito a quella frase di troppo che sarebbe meglio evitare, almeno nel giorno del dolore che uno ha.