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Categoria

Libri

Pino
CulturaIn primo pianoLibri

Dieci domande per Pino Imperatore

scritto da L'Interessante

Pino

Di Maura Messina

È tempo di novità per L’interessante, che oggi si appresta ad inaugurare una nuova rubrica. L’abbiamo pensata per tutti coloro i quali vogliono sentir parlare di libri, di novità, storie e curiosità in maniera veloce ma non superflua. È Un format che calza a pennello sulle esigenze dei lettori più pigri. 10?II ( dieci domande per l’ intervista interessante) è un focus veloce sulla letteratura e gli scrittori contemporanei. Curato da Maura Messina, ospiterà ogni volta libri e autori differenti. A tagliare il nastro è lo scrittore partenopeo Pino Imperatore che, in una fluida scala da uno a dieci, ci ha raccontato di sé e del suo nuovo libro.

Buona lettura!

Dieci domande per l’ intervista interessante a Pino Imperatore

 

1) Un rigo per presentarti.

Mi chiamo Pino Imperatore, sono un uomo del Sud e scrivo per donare sorrisi e pensieri in libertà.

2) Due righe per scoprire il titolo e un accenno alla trama di un tuo libro.

Il romanzo “Questa scuola non è un albergo”. Le vicende private, le avventure scolastiche, le speranze e il coraggio di un diciottenne che ama intensamente la vita.

3) Tre righe dedicate al protagonista.

Angelo D’Amore abita nel quartiere napoletano di San Giovanni a Teduccio, ha una famiglia stravagante, è orfano di madre, frequenta l’ultimo anno di un istituto alberghiero, ha i compagni di classe e i professori più strampalati del mondo, è bello, simpatico e generosissimo.

4) Quattro righe per il personaggio al quale ti senti più legato.

Cico, il pappagallo parlante di casa D’Amore. Anarchico, curioso, indisponente, mette il becco in tutti i fatti e misfatti che coinvolgono Angelo, i suoi familiari e i suoi amici. Ha un’intelligenza straordinaria, va spesso a caccia di pennute disponibili e consenzienti e conosce varie espressioni; la sua preferita è: «Pappa subito!».

5) Cinque righe per commentare il tuo libro preferito.

“L’amore ai tempi del colera” di Gabriel García Márquez. Il romanzo perfetto. Un capolavoro assoluto, scritto con uno stile leggiadro e sublime. Non solo una meravigliosa storia d’amore, ma il ritratto di un’epoca e di un mondo. Florentino Ariza e Fermina Daza sembrano pennellati – insieme a tutti i personaggi comprimari dell’opera e ai luoghi in cui interagiscono – da una mano divina; la stessa che ha creato un’altra meraviglia della letteratura come “Cent’anni di solitudine”.

6) Sei righe per raccontarci come nasce la tua passione per la scrittura.

La mia passione per la scrittura è figlia della mia passione per la lettura. Sono un divoratore di libri, riviste, quotidiani, fumetti, parole. Da sempre. Anche il foglietto illustrativo di un farmaco può incuriosirmi. Le mie più remote prove di scrittura risalgono al periodo adolescenziale: elaboravo poesie, aforismi, battute, racconti. Poi il mio interesse si è decisamente spostato sulla letteratura comica e umoristica, e sono arrivati i primi premi letterari, i primi libri, i romanzi, le opere teatrali. Una lunga semina di sorrisi e risate, che spero duri ancora a lungo.

7) Sette righe per rivelarci altre tue passioni.

Tante. Il teatro, non solo quello comico: Ionesco, Beckett, Pirandello, Osborne, Pinter, De Filippo, Brecht, García Lorca, Sarah Kane. Il cinema, soprattutto quello comico: Totò, Troisi, Chaplin, Laurel & Hardy, i fratelli Marx, Jacques Tati, Mel Brooks, Peter Sellers, John Belushi, Gene Wilder, i Monty Python, Woody Allen. La musica rock, tutta. Il cabaret, in particolare nella forma della stand-up comedy. La filosofia strutturalista, da Lévi-Strauss a Foucault, da Althusser a Lacan. L’arte surrealista, da Magritte a Dalí, da Miró a Max Ernst. E poi la psicologia, le neuroscienze, l’antropologia, la ludolinguistica. E poi Napoli, città infinita e mia sconfinata passione.

8) Otto righe per ritornare al tuo libro: chi vorresti lo leggesse?

Soprattutto i ragazzi, che possono scoprire tra le sue pagine sia episodi divertenti sia spunti di riflessione utili alla loro crescita personale. Ma è un romanzo adatto anche agli adulti desiderosi di richiamare alla memoria la loro adolescenza, la loro giovinezza, i momenti trascorsi sui banchi di scuola. Nei fatti è già così: “Questa scuola non è un albergo” è stato finora apprezzato da migliaia di lettori di tutte le età e adottato da tanti istituti scolastici. Per mia precisa volontà, l’ho arricchito di varie tematiche di attualità: il sistema educativo, i rapporti familiari, la mancanza di lavoro, le relazioni amorose, l’amicizia, il bullismo, l’uso e l’abuso dei social media, il rispetto per l’ambiente in cui si vive, l’importanza della cultura. La trama e i personaggi evocano numerose suggestioni.

9) Nove righe per salutare i lettori e convincerli a leggere tutto fino alla fine… perché il più bello, si sa, arriva alla fine.

Il bello arriva alla fine solo se si è lavorato sodo, con impegno e sacrifici, per costruire un percorso solido, sincero, credibile. «La cosa più difficile che ci sia al mondo è scrivere una prosa assolutamente onesta sugli esseri umani», diceva Hemingway. Io quando costruisco le mie storie cerco di trovare il giusto equilibrio fra ragione e sentimento, fra cervello e cuore, prendendo spunto dalla realtà. E ogni volta è il cuore a vincere. I pensieri, le idee, le invenzioni puntano sulla velocità; i battiti, invece, si fondano sulla resistenza e procurano emozioni forti e durature. È per questo che amo i colori caldi: il rosso, il giallo, l’arancione; danno vivacità alla vita, la rendono piacevole e brillante. Ed è per lo stesso motivo che non amo chi vede sempre il bicchiere mezzo vuoto: mi fa tristezza e pena. Viva l’allegria, viva la gioia! Senza di esse si precipita nella vacuità delle ombre.

 

10) Dieci righe per citare uno stralcio della tua opera.

«Un tempo San Giovanni era una zona industriale. Fabbriche, cantieri, laboratori artigianali. Non è rimasto quasi nulla. Molti capannoni sono abbandonati da decenni. Da piccolo ci andavo a giocare con altri bambini; inventavamo storie, mestieri, strumenti di lavoro; io ero il capomastro. Un pomeriggio in un cantiere in disuso trovammo dei martelli e dei chiodi, recuperammo un po’ di assi di legno e in una settimana costruimmo una barca. Ci procurammo dei barattoli di vernice e dei pennelli e la dipingemmo di rosso e di blu. Con un’asta facemmo l’albero maestro e ci piazzammo sopra la bandiera dei pirati. Poi scrivemmo su dei pezzetti di carta i nostri desideri, li sistemammo a prua in una scatola di latta, portammo la barca sulla spiaggia e la mettemmo in mare. Ho ancora in mente la scena: noi allineati sulla riva, impettiti e orgogliosi, e la barca che pian piano prendeva il largo. Portando verso l’orizzonte i nostri sogni».

Dieci domande per Pino Imperatore was last modified: marzo 9th, 2017 by L'Interessante
9 marzo 2017 0 commenti
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Bianconiglio
CulturaIn primo pianoLibri

Associazione Bianconiglio : evviva il Bookcrossing!

scritto da L'Interessante

Bianconiglio

Di Christian Coduto

 

Caserta è l’immagine della incoerenza.

Questa è un’amara verità.

Ci si lamenta sempre del fatto che, qui, non ci sia mai nulla di culturale da vivere. Poi, quando le cose vengono fatte, si inizia a dare la colpa alla mancata pubblicità “Noi non ne sapevamo niente!” e così via. Ci vuole coraggio per affrontare un qualcosa di nuovo, che punti alla qualità, che non ricada nel mero commercio fine a se stesso, in una location del genere. I risultati spesso si ottengono con il contagocce, ma per fortuna c’è una cosa che si chiama passaparola …

A tal proposito, oggi sono in compagnia dei ragazzi dell’associazione Bianconiglio. Ragazzi giovanissimi che si sono rimboccati le maniche, puntando sulla novità. Non si sono arresi e stanno finalmente cogliendo i frutti del loro lavoro.

Nel momento in cui entro nel bar dove ci siamo dati appuntamento, mi accolgono con fragorosa vitalità. Sorridenti, chiacchieroni (detto in senso assolutamente positivo, si intende) mi circondano e iniziano a parlare tutti insieme. Mettono allegria, sanno come accogliere il “nuovo”, ma lo fanno spontaneamente, non c’è nulla di costruito. La loro veracità mi colpisce subito; un primo punto a loro favore. Dopo l’allegria iniziale, si ricompongono ed iniziamo l’intervista. Mi rivolgo ad Ilaria Longobardi. 26 anni. Si occupa di social media marketing. E’ una dei soci fondatori dell’associazione. E’ una ragazza vivace, grintosa, socievole. Ha una postura che trasuda sicurezza da ogni poro. La sua risata è contagiosa.

I ragazzi del Bianconiglio ci parlano delle loro iniziative

D: Ilaria, parliamo un po’ della vostra associazione …

R: Allora … il progetto di Bianconiglio è nato quasi due anni fa, ma l’associazione esiste formalmente da quasi un anno. L’obiettivo di tutti i soci fondatori era quello di portare a Caserta una realtà che potesse offrire un intrattenimento alternativo, costruttivo. Per questo noi organizziamo eventi culturali. L’attività che ci identifica al meglio è quella del Bookcrossing. Abbiamo iniziato questa attività di scambio di libri in maniera assolutamente gratuita perché il nostro sogno è quello di promuovere la lettura e dare la possibilità alla cultura di circolare in maniera libera. Inizialmente abbiamo portato avanti questo lavoro raccogliendo solo donazioni da parte dei cittadini casertani; nel tempo si sono aggiunte anche diverse case editrici che hanno deciso di sostenerci (Milena Edizioni, Caracò Editore, CS edizioni, Astrolabio Edizioni e moltissime altre). Nei primi periodi abbiamo organizzato degli eventi una tantum, negli spazi pubblici della nostra città. Poi, dopo aver riscontrato un interesse sempre maggiore per le nostre iniziative da parte degli utenti (il numero dei libri cresceva esponenzialmente e trasportarli ogni volta era diventato piuttosto scomodo!), abbiamo cercato uno spazio, una location che potesse essere permanente. L’abbiamo trovato nel ristorante “Il Cortile” a Via Galilei. Solo in questo modo abbiamo potuto garantire un servizio effettivo ai cittadini, in quanto continuativo. Attualmente il numero complessivo dei libri a disposizione supera le tremila unità. Nel corso del tempo abbiamo perfezionato la nostra organizzazione: sul nostro sito ufficiale, per esempio, è possibile prenotare gli scambi da casa per gli iscritti all’associazione. Per info ed eventuali, l’indirizzo del nostro sito è: associazionebianconiglio.it

D: Avete in progetto anche qualche presentazione di libri?

R:Abbiamo partecipato ad alcuni eventi e abbiamo proposto delle attività collaterali allo scambio, che avevano il libro come oggetto centrale. C’è in cantiere anche questa idea ovviamente. Vogliamo proporre agli utenti la presentazione di libri con un approccio giovanile, informale, stimolante. Una forma inedita, speriamo (sorride).

D: Ti va di ricordarci i nomi degli altri membri del comitato?

R: Marta Farina, Melissa Farina, Domenico Marotta, Alessandro Merola, Luca Giliberti, Gabriele Buzzone, Riccardo Roano, ed io ovviamente. Però è bello ricordare anche Luca, che la Svizzera ci ha “rubato”, ma che continua a seguirci e sostenerci!

Passiamo adesso la parola ad Alessandro Merola. Anche lui giovanissimo (25 anni). Accoglie le persone con un bel sorriso amichevole. Riesce a farti sentire a tuo agio.

D: Alessandro … Caserta è una realtà più provinciale, soprattutto se facciamo un paragone con altre città quali Napoli, per esempio. Eppure il pubblico risponde con entusiasmo. Come siete riusciti a fidelizzare gli iscritti? Quali sono i punti di forza dell’associazione?

R: Mi sono avvicinato al Bianconiglio grazie ad un mio amico. Partecipando ad uno degli eventi, ho conosciuto il resto dei ragazzi e sono rimasto affascinato dall’aria che si respirava … così sono entrato a far parte dell’associazione. Ora come ora, il limite che separa l’amicizia dal “lavoro” è davvero flebile. Siamo una bella famiglia. La cosa che più mi ha colpito è stata proprio questa: l’unione, il legame che, senza dubbio, arriva anche agli iscritti. Gli eventi sono organizzati benissimo a mio parere. Mi chiedevi del punto di forza … beh … credo la voglia di creare aggregazione. Ma c’è di più: ognuno di noi è esperto in un campo diverso. Ilaria, per esempio, si occupa di web marketing, Melissa di cinema, io di programmazione e sviluppo software, Luca di architettura, Mimmo di economia, Luca (che ora è a Zurigo) di astrofisica … siamo talmente eterogenei che uno scambio di idee e opinioni è davvero stimolante. Nessuno vuole prevaricare. L’opinione di tutti vale allo stesso modo e il confronto diventa crescita.

D: C’è la possibilità di fare degli abbonamenti?

R: Certo! E’ possibile iscriversi: il costo della tessera è di 10 euro e ha validità di 12 mesi (non intesi come anno solare!). Il tesserato ha la possibilità di accedere al database online, in cui sono registrati tutti i nostri libri.

D: In generale, gli iscritti hanno un’età che varia da?

R: E’ estremamente variabile! Il tutto, invero, dipende dalle attività che proponiamo: il bookcrossing, per esempio, coinvolge sia l’universitario sia l’ultrasessantenne. La serata del social game, che abbiamo organizzato un anno fa, ha interessato i giovanissimi. Non c’è una fascia che prevale sull’altra.

Mi rivolgo a Melissa Farina. Dopo la laurea in comunicazione, ha deciso di studiare cinema a Bologna. Ha un fare pacato, soppesa le parole, ispira serenità.

D: Cinema e letteratura vanno spesso a braccetto. Deduco che voi amiate anche questa forma d’arte …

R: Da quest’anno collaboro attivamente con il Bianconiglio … infatti svolgo qui il mio tirocinio di laurea magistrale in cinema e tv. Io mi occupo di una sorta di cineforum, che è in realtà organizzato in questo modo: vediamo in separata sede il film e poi ne discutiamo tutti insieme, il giovedì sera, presso l’Officina Teatro a San Leucio. Il mio tirocinio consiste nell’analizzare il film e nel proporlo in maniera originale e inedita al pubblico che ci viene a seguire. La particolarità è quella di proporre al pubblico, ogni settimana, tre film (seguendo un tema, un regista o un attore) dandogli l’opportunità di scegliere quello che verrà poi analizzato.

D: Una serata a cui hai tenuto particolarmente?

R: Sicuramente quella dedicata a “Room”, che ha riscosso molto successo tra le altre cose. E’ bello quando un film, che piace a te in primo luogo, suscita interesse negli altri, anche quando riceve dei feedback negativi. E’ divertente quando si riesce ad unire persone che non si conosco nella vita di tutti i giorni, ma che sono accomunati da una passione, come appunto quella per il cinema.

D: Da poco si è conclusa la notte degli Oscar … quali sono le tue impressioni?

R: I risultati erano abbastanza prevedibili, soprattutto le nomination relative a “La la land”, il film cult degli ultimi mesi. Dopo la notte degli Oscar, sono andata a vedere “Moonlight”, che ha vinto nella categoria miglior film. Avevo grosse aspettative al riguardo. Forse, proprio per questo motivo, non sono rimasta completamente soddisfatta, sono sincera. Per il resto sono soddisfatta perché “La la land” a me è piaciuto molto, quindi la statuetta ad Emma Stone mi è sembrata giusta. Sono felice per Casey Affleck, che ha avuto la sua grande occasione. Un po’ contrariata per la vittoria di Mahershala Ali (migliore attore non protagonista) proprio per il fatto di essere stata delusa da “Moonlight”. Viola Davis, invece, la adoro! E’ davvero in gamba: è molto intelligente, ha trovato un giusto equilibrio tra cinema e televisione, notoriamente una cosa non così scontata. Attendo la visione de “il cliente” di Farhadi. “Zootropolis” è delizioso … sarà anche un cartone animato, ma è adattissimo anche agli adulti.

In bocca al lupo, ragazzi! Una boccata d’aria fresca a questa città era davvero necessaria!

 

Associazione Bianconiglio : evviva il Bookcrossing! was last modified: marzo 9th, 2017 by L'Interessante
9 marzo 2017 0 commenti
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libro (ph)enomena
CulturaEventiIn primo pianoLibri

Un libro per tè presenta (Ph)enomena

scritto da L'Interessante

Libro

Dopo il grande successo dello scorso anno, torna Domenica 12 Marzo 2017 – presso l’Accademia Musicale Fortepiano di Anna Paola Zenari in Via A. Stellato, San Prisco (CE) – la rassegna “Un libro per tè” con la presentazione dell’opera prima dell’autrice Giulia Sangiuliano, (Ph)enomena.

La Rassegna Un Libro per tè

Dalla convinzione che l’arte sia un abbraccio di uguale intensità tra musica, teatro, letteratura ed espressione libera ed emozionante, nasce la rassegna “Un libro per tè”. Lontane dalle solite presentazioni, la rassegna si snoda tra attimi di musica, teatro, analisi profonda del testo e condivisione con il pubblico. Dall’idea di Anna Paola Zenari – musicista – il gruppo di lavoro di Un libro per tè è composto da Corrado Del Gaizo (attore), Carmine Covino (attore e musicista), Valentina Masetto (psicoterapeuta e scrittrice), Roberta Magliocca (giornalista). E dagli autori, ovviamente. Ad aprire questo secondo ciclo è (Ph)enomena, opera prima di Giulia Sangiuliano, con la quale passeremo una Domenica pomeriggio, riscaldati da una tazza di tè.

(Ph)enomena – Sinossi

Il dottor Clerk, primario di Neurologia in un ospedale nella periferia di Firenze, viene convocato d’urgenza per salvare la vita della ventenne Vittoria Coe, studentessa di chimica rinvenuta in stato comatoso in un tentativo di suicidio. Vani risultano essere gli sforzi del primario e della sua equipe medica per farle riprendere conoscenza. A infittire il mistero sono le analisi e i parametri vitali nella norma, che escludono una dopo l’altra le ipotesi che la scienza aveva posto in essere sino a quel momento. L’unica anomalia riscontrata è un’intensa attività cerebrale, elemento che lascia intendere al professore che la ragazza si trovi in uno stato di coma vigile e percepisca il mondo e le persone attorno a sé. Da quel giorno la vita di quell’uomo si stringe in una spirale ineluttabile di traviamento senza apparente via d’uscita.

Giulia Sangiuliano è nata a Napoli il 20 gennaio 1992. È laureata in Scienze e Tecniche Psicologiche all’Università degli Studi di Napoli Federico II. È giornalista pubblicista e collabora per la testata online CinqueColonne Magazine. Studia Neuroscienze cognitive e riabilitazione psicologica presso l’Università La Sapienza – Roma. (Ph)enomena è il suo primo romanzo stampato per Eretica.

Un libro per tè presenta (Ph)enomena was last modified: marzo 7th, 2017 by L'Interessante
6 marzo 2017 0 commenti
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Gianrenzo
EventiIn primo pianoLibri

Gianrenzo Orbassano: Lascio a voi le mie poesie.

scritto da L'Interessante

Gianrenzo

Di Christian Coduto

Giovedì 23 febbraio, presso la Sala Consiliare “Vescovo M. Natale” del comune di Casapulla, nell’ambito della Rassegna Incontri d’autore, si è svolta la presentazione del libro “Le mie notti” (ed. Spring) di Gianrenzo Orbassano. Il relatore Francesco Marino ha mediato la serata, presentando i vari ospiti: Eliana Riva e Antonella D’Andrea (della Spring Editore) Anna Di Nardo (Assessore alla cultura del comune di Casapulla) ed Elio Di Domenico (Docente di lettere e scrittore). Santa Santillo si è invece occupata della lettura di alcune delle poesie scritte dall’autore.

Elegantemente in giacca e cravatta, il giovanissimo Orbassano (compirà 22 anni a maggio) ha dato quel tocco di vivacità in più all’evento: volutamente provocatorio, ha voluto sottolineare sin dall’inizio il suo bisogno di non sentirsi definito poeta. “Non posso essere chiamato così, soprattutto se facciamo dei paragoni con i veri artisti della storia!”. Osservandolo da lontano, d’istinto, si tende quasi a considerarlo vanitoso, altezzoso. Parla molto, ma guarda spesso altrove, difficilmente negli occhi. Poi, però, ti accorgi a mano a mano che la sua è semplice timidezza. E’ consapevole di avere un dono, ha una grande sensibilità artistica, ma non vuole che gli venga riconosciuta in maniera così sfacciata. E’ un modo per rimanere ancorato con i piedi per terra, per essere se stesso. Se così non fosse, non potrebbe più descrivere in maniera così sincera le sue emozioni. E’ un gioco di equilibri che deve essere rispettato.

Dopo il dibattito, ci sediamo per alcuni minuti per parlare un po’.

Gianrenzo mi mostra orgoglioso la targa che gli è stata conferita dalla Pro Loco per la presentazione del libro. Ha un animo nobile, da adulto, intrappolato in un corpo da ragazzo. Lontano dai riflettori, è davvero un’altra persona. Da un certo punto di vista è facile capire il suo stato d’animo: le poesie vanno lette, vissute, interiorizzate … non vanno spiegate. Mai.

 

Gianrenzo Orbassano ci parla di sé.

D: Ciao Gianrenzo. Allora: “Le mie notti” …

R: In questa raccolta di poesie, la notte è il collante di vari argomenti quali la depressione e il sentimentalismo (anche spicciato). L’ho scelta come trait d’union perché a me la notte dona delle impressioni, delle emozioni che ho deciso di trascrivere su carta. C’è una ricerca anche nella scrittura, ovviamente, perché continuo a divorare i dischi di cantautori quali De Andrè, David Bowie, da cui traggo continua ispirazione.

D: In quale momento della giornata sei più produttivo nella scrittura?

R: Sicuramente di notte, perché sono circondato dalla calma e dal silenzio. Scrivere con il frastuono intorno, come quello dei cantieri in attività sin dalle sette del mattino, sarebbe per me impossibile. La notte ti regala un rilascio dell’anima che può essere riprodotto in poesia. La mente evapora e posso far volare le cose, le parole in primo luogo.

D: Hai presentato, con successo, il tuo libro in tante scuole. Stavolta la presentazione è avvenuta nel comune della tua città. Che tipo di emozione c’era?

R: Romantica, perché Casapulla è da dove sono partito. Terminare le mie presentazioni qui è stato come percorrere un cerchio che si è chiuso.

Si sofferma ancora un attimo sul piccolo dibattito nato in seguito alla sua affermazione “poeta/non poeta”. E’ visibilmente dispiaciuto perché ha paura di essere stato frainteso. Glielo si legge in volto. E’ un peccato che questo Gianrenzo non sia arrivato del tutto durante la presentazione. Sta mostrando un suo tallone d’Achille ed è una cosa inusuale: i personaggi dell’arte e del mondo dello spettacolo non lo fanno quasi mai. E’ un gesto ammirevole.

D: Sei così giovane, hai una profondità che lascia sgomenti … ci sono dei momenti in cui ti diverti, in cui sei più leggero?

R: (sorride) Certo! Sono una persona normalissima! Anzi, ti dirò: questi momenti più leggeri sono di grande utilità sai? Perché mi aiutano a pensare. In realtà l’uomo pensa 24 ore su 24, o almeno dovrebbe farlo (ridiamo insieme). Poi, come dicevo prima, di notte riesco a trascrivere quello che ho provato durante il giorno.

D: Che cosa ne pensi dell’editoria a pagamento?

R: Io ho deciso di pubblicare con una casa editrice a pagamento e non me ne sono affatto pentito, però sicuramente ne cercherò delle altre non a pagamento, in futuro, perché penso che l’autore venga maggiormente seguito. Si riesce ad avere un confronto più ricco, più diretto. Giusto per dire: le presentazioni le ho organizzate io nel 99 percento dei casi. Non mi sento, però, di criticare. Piuttosto do un consiglio, che è anche una speranza: quello di seguire meglio l’autore che è in primo luogo una persona.

D: Io mi occupo di cinema. Cinema e poesia vanno di pari passo. Quale è il film più poetico che tu abbia mai visto?

R: Oh! Sono sincero: amo moltissimo un film di Roberto Benigni, che non è “La vita è bella”, bensì “La tigre e la neve”. Credo sia l’opera più bella di questo regista. Sono rimasto colpito dal lato poetico di questo progetto, ne è colmo. Affronta temi molto delicati (sociali, politici e religiosi) di grandissima attualità.

D: Dopo “Le mie notti”, cosa ci dobbiamo aspettare da Gianrenzo Orbassano?

R: Un romanzo. Ci sto lavorando da tempo perché le dinamiche sono differenti rispetto alle poesie. Sarà un libro sicuramente affrontato con maggiore consapevolezza; il tema trattato è quello degli ultimi.

D: Bene! In bocca al lupo!

R: Grazie mille, crepi!

 

 

 

 

Gianrenzo Orbassano: Lascio a voi le mie poesie. was last modified: febbraio 26th, 2017 by L'Interessante
26 febbraio 2017 0 commenti
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Fratelli
In primo pianoLibri

I fratelli Mazzariol e la loro storia speciale

scritto da L'Interessante

Fratelli

Di Erica Caimi

“Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi, lui passerà tutta la sua vita a credersi uno stupido” è la frase di Albert Einstein scelta per la prima pagina de “Mio fratello rincorre i dinosauri”, un libro che si legge tutto d’un fiato. Giacomo Mazzariol, l’autore, è un ragazzo giovanissimo nato nel 1997 a Castelfranco Veneto, dove vive con la sua famiglia. Nonostante la sua tenera età, le pagine sono dense di maturità, ragionamenti profondi sciolti nell’ironia, ma soprattutto pulsano dell’amore per il fratellino affetto dalla sindrome di down.

I fratelli Mazzariol e il video su YouTube

Per capire come si è arrivati alla pubblicazione del libro, bisogna fare un passo indietro e risalire a marzo 2015, quando Giacomo carica un corto su YouTube, The Simple Interview, girato insieme al fratellino Giovanni, in occasione della giornata mondiale sulla sindrome di Down. Nel video, si simula un colloquio di lavoro tra i due fratelli, durante il quale Giacomo sottopone Giovanni a una serie di domande, permettendoci di entrare nel suo universo e di capire che prima della disabilità, prima dei limiti imposti dalla sindrome di Down, viene la persona. Con la sua vita e le sue passioni, i suoi pregi e i suoi difetti, la sua ironia e la sua voglia di esistere su questo mondo. La sequenza di immagini ti ruba un sorriso. Il video ha avuto un successo virale imprevedibile, ottenendo più di 200.000 visualizzazioni e da qui nasce l’idea di scrivere un romanzo sulle loro vite, intitolato “Mio fratello rincorre i dinosauri. Storia mia e di Giovanni che ha un cromosoma in più”.

La storia dei fratelli Jack & John nel libro “Mio fratello rincorre i dinosauri”

È Giacomo, il fratello maggiore, a tenere le redini della trama e ad accompagnarci nella sua vita. Si tratta, infatti, di una storia di vita familiare che evolve in un vero e proprio romanzo di formazione. Tutto inizia sulla piazzola di un parcheggio, quando papà Mazzariol ferma la macchina per comunicare a Giacomo, Chiara e Alice, le sue due sorelle, che presto avranno un fratellino. Giacomo, aveva soltanto cinque anni e non vedeva l’ora di avere un fratello con il quale poter fare giochi da maschio, finalmente, si dice, non sarà più in minoranza. Nello stesso parcheggio, settimane dopo, papà e mamma fanno un altro annuncio: quel fratellino sarà speciale. Per il piccolo Giacomo, quel misterioso “speciale” significa possedere dei poteri straordinari e comincia ad immaginarselo come un Supereroe. In fondo, anche Clark Kent era speciale.

Quando nasce Giovanni, nome, chiaramente, scelto da Giacomo, si capisce subito che è diverso dagli altri con quella sua testa così grande, quella lingua così lunga, quei piedini tanto strani. Più cresce e più le stranezze si moltiplicano, Giovanni è effettivamente diverso da tutti, ma non nel modo in cui Giacomo si aspettava e ciò attira la sua curiosità. La sua mente è presidiata da continue domande. Perché Giovanni fa così fatica a parlare? Perché deve fare continue visite mediche? Perché non potrà fare capriole per via del suo collo debole? Perché non potrà arrampicarsi sugli alberi, giocare a pallone, saltare sui letti? Perché non potrà fare la lotta con lui, il suo fratellone? Una cosa gli è chiara fin da subito: Giovanni ha una serie di difficoltà che non gli permettono di fare tutto quello che lui vorrebbe.

Intanto, cresce anche Giacomo e dalla scuola elementare passa alle medie. In classe, il ragazzo non rivela a nessuno di avere un fratello, lo tiene nascosto a tutti, persino ad Arianna, il primo amore nato sui banchi. Alla paura di essere deriso ed escluso dai coetanei, si contrappone il senso di colpa, perché nel profondo della sua immatura coscienza sente di non comportarsi come dovrebbe nei confronti del fratello. Giovanni, invece, è ignaro a tutti questi dilemmi interiori e sarà quel suo amore spontaneo, diretto e nascosto nei semplici gesti a far capire a Giacomo chi è davvero suo fratello e a costruire insieme a lui un rapporto alla pari, dopo il periodo irrequieto dell’adolescenza.

Ci sono tanti libri che ci parlano di disabilità. Alcuni scientifici, altri che ci spiegano le difficoltà vissute quotidianamente da queste persone e dai loro familiari, altri ancora che raccontano una vita buttandoci dentro i sentimenti. Questo libro è uno di questi ultimi. Con uno stile semplice sintetizza un rapporto difficile, con spontaneità ci racconta cosa significa amare attraverso esperienze complesse. Senza voler essere mieloso o eccessivamente costruito, Giacomo ci porta nella sua quotidianità e, giocando a carte scoperte, mette in tavola i propri limiti, le proprie paure legate al desiderio di sentirsi accettato dagli altri.

Quando ci si focalizza esclusivamente sui limiti, si tralascia un aspetto essenziale: il modo d’essere. Giovanni è indiscutibilmente un portatore di Down, ma è anche un ragazzo innamorato della vita, che esprime sé stesso con codice comunicativo non sempre comprensibile a tutti. Giovanni è vitalità, quando torna a casa allegro e annuncia di essersi sposato, quando balla in mezzo alla piazza al ritmo della musica di un artista di strada e trascina i passanti nella danza, quando ripete qualcosa in modo estenuante per rubarti un sorriso. Giovanni è ironia: “Giovanni che va a prendere il gelato”. “Cono o coppetta?”. “Cono!”. “Ma se il cono non lo mangi!”. “E allora?! Neanche la coppetta la mangio!”. Giovanni è amore incondizionato per la propria famiglia quando ogni giorno coglie un fiore per le sue sorelle e in inverno, se non ne trova, porta loro delle foglie secche. Giovanni vive nel suo universo popolato da passioni e preferenze, quella per i libri sui dinosauri, per la musica e per i suoi pupazzi tra cui l’inseparabile amico di pezza Rana la rana.

Questa lettura colpisce anche per il punto di vista dal quale viene affrontato il tema, poiché s’incentra sul rapporto tra fratelli, spesso trascurato nella bibliografia rispetto al rapporto genitori-figli. Grazie alla sincera onestà di Giacomo vengono alle luce le difficoltà e i timori di chi cresce accanto e insieme a un disabile, anche quando si è parte di una famiglia solida nella quale prevale il dialogo e il sostegno reciproco.

La scrittura di Giacomo, protagonista tanto quanto Giovanni, dimostra, l’importanza per un adolescente d’interrogarsi, di non smettere mai di porsi domande su sé stesso e sul mondo e di non fermarsi di fronte a preconcetti e realtà pre-confezionate. Ed è un messaggio essenziale da insegnare e imparare: con la morte della domanda, soccombe anche la conoscenza. Crescere poi significa provare a darsi delle riposte e nel farlo capita anche di sbagliare. Ma qualunque errore se analizzato e interiorizzato evolve in esperienza e si materializza in un cambiamento, che avviene effettivamente in Giacomo. Indispensabile nel libro, così come nella vita, è anche il ruolo dei genitori, come voci fuori campo che indirizzano il cammino dei figli verso la maturità seminando preziosi consigli, ma che mai si sostituiscono a loro nel percorso di evoluzione.

Quando si chiude libro si avverte la sensazione di aver conosciuto, seppur indirettamente, delle belle persone e ti rimane in bocca il piacevole gusto della lezione di vita impartita da mamma Katia a suo figlio: “Giacomo… – disse, con quella voce dolce e profonda al tempo stesso che mette su quando c’è della verità vera in quello che sta per dire, – nella vita ci sono cose che si possono governare, altre che bisogna prendere come vengono. È talmente più grande di noi, la vita. È complessa, ed è misteriosa… – Mentre lo diceva aveva gli occhi che luccicavano: lei ha sempre questi occhi pieni di stelle quando parla della vita, anche oggi. – L’unica cosa che si può sempre scegliere è amare, – disse. – Amare senza condizioni.”

I fratelli Mazzariol e la loro storia speciale was last modified: febbraio 25th, 2017 by L'Interessante
23 febbraio 2017 0 commenti
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scuola
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Giù le mani dalla scuola

scritto da L'Interessante

scuola

Di Maria Rosaria Corsino

“Un Paese che distrugge la scuola non lo fa mai solo per soldi, perché le risorse mancano o i costi sono eccessivi. Un Paese che demolisce l’istruzione è già governato da quelli che dalla diffusione del sapere hanno solo da perdere” diceva Italo Calvino.

La scuola di Giulia Blasi in “Siamo ancora tutti vivi”

E’ un argomento, quello dei tagli all’istruzione pubblica, che ha origine dalla notte dei tempi e che non va mai fuori moda.

L’istruzione italiana perde sempre più colpi.

Anche Giulia Blasi vuole affrontare il tema dei tagli alla scuola nel suo romanzo ‘Siamo ancora tutti vivi‘ senza ricorrere a polemiche o discorsi accusatori verso le autorità politiche, ma raccontando la storia di ragazzi che al loro futuro non intendono rinunciare.

La scuola la fanno i ragazzi

Le classi prima e seconda liceo di Villa Erminia rischiano di essere cancellate a causa della mancanza di iscritti e di conseguenza per la poca produttività, ma gli studenti della scuola non sono d’accordo e danno il via a uno dei movimenti studenteschi più noto: l’occupazione. Non una di quelle occupazioni perditempo (che tutti abbiamo fatto almeno una volta nella vita) ma una protesta seria con regole ben precise e una solida organizzazione. Chi non rispetta la legge è fuori!

Tanti sono i ragazzi che ne prendono parte, mossi da un sentimento di ribellione verso l’autorità e i genitori (nonostante l’occupazione sia approvata dalla preside e dai familiari degli alunni), ma i veri protagonisti sono Emilio, Erica, Stella, Greta , Enrico e Matteo. Emilio è un ragazzo tranquillo, mette la famiglia al primo posto e l’aiuta nella gestione della fattoria; non ha mai dimenticato Erica.

Erica da brutto anatroccolo si è trasformata con la pubertà in un cigno ed Emilio ritiene che sia questo il motivo per il quale lei lo abbia lasciato. Erica però ha altri grilli per la testa: la paura di perdere il suo patrigno Zeno, sua unica certezza.

Stella è una leader nata, una di quelle che quando parla nessuno, Enrico compreso (suo migliore amico da tempo), tollera.

Greta invece ama suonare la batteria, è l’orgoglio dei suoi genitori e quasi senza volerlo si trova seduta con quelli che l’occupazione la gestiscono.

Matteo è uno di quelli che ti gela solo con uno sguardo, è un mistero per chi gli sta intorno e ha un terribile segreto da celare.

I personaggi che la Blasi racconta non sono il ritratto (seppur erroneo ma molto quotato) di adolescenti perditempo e lagnosi, ma sono ragazzi che prendono in mano le redini del loro futuro senza abbassare la testa davanti ai ‘potenti’. Come si suol dire: “li volevano ignoranti, li avranno ribelli”.

Giù le mani dalla scuola was last modified: febbraio 20th, 2017 by L'Interessante
20 febbraio 2017 0 commenti
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Sneguročka
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Sneguročka, la fanciulla di neve: una fiaba come ponte tra culture

scritto da L'Interessante

Sneguročka

Di Erica Caimi

“La fanciulla di neve Sneguročka” è il titolo del nuovo libro di Giovanna Caridei pubblicato da C1V Edizioni, che inaugura la nuova collana della linea kids chiamata “Storie dal Mondo”, ideata dalla stessa scrittrice in collaborazione con l’editrice Cinzia Tocci. Il progetto si pone come obiettivo quello di trattare tematiche a sfondo sociale e sempre rivolte all’attualità, promuovendo la scoperta di storie, tradizioni e simboli di altre culture a sostegno dell’interculturalità.

L’autrice, giornalista, insegnante e mediatrice linguistico-culturale, si ispira al personaggio delle fiabe di tradizione russa Sneguročka per lanciare un messaggio molto caro alla realtà odierna:  l’incontro e la scoperta dell’altro superano il pregiudizio latente nella mancanza di conoscenza e nella ritrosia a riconoscere “l’altro” come interlocutore alla pari.

Senguročka, una figura molto nota nella cultura russa, è la giovane nipote nonché aiutante di Ded Moroz, Nonno Ghiaccio, il Babbo Natale russo. Insieme a lui, Senguročka porta i regali ai bambini in occasione del Novyj God, la magica notte di Capodanno, il giorno in cui in Russia ci si scambia i doni. La giovane è il simbolo dell’incontro di due mondi diversi, la Foresta dei Ghiacci Perenni e il mondo degli umani e incarna i valori della condivisione, della cooperazione, dell’accoglienza e della solidarietà.

Sneguročka: la nascita del personaggio nella tradizione russa

La rappresentazione iconografica di Sneguročka deve sintetizzare in un’immagine l’idea di acqua ghiacciata, di cui la giovane fanciulla è simbolo, il nome, infatti, significa  “fatta di neve”. Per questo la ragazza, eternamente giovane e allegra, indossa un abito bianco e sulla testa ha una coroncina a otto raggi impreziosita da argento e perle. Anche la rappresentazione moderna del suo abbigliamento è quasi sempre fedele alla descrizione storica, le uniche varianti ai colori sono giustificate dalla difficoltà grafica di rendere efficacemente il bianco, per questo può apparire anche vestita in azzurro. 

Sneguročka nasce nel mondo della letteratura. Nel 1968, Aleksandr Afanasiev, l’equivalente russo dei Fratelli Grimm, scrisse una storia su un personaggio chiamato “Snegurka”, una bambina costruita con la neve da due poveri contadini, Ivan e Maria, disperati perché non riuscivano ad avere un figlio vero. Snegurka, magicamente, prese vita, ma morì con l’arrivo dell’estate, sciogliendosi ed evaporando nell’immensità del cielo. Nel 1873, il commediografo A.N Ostrovskij, influenzato dalle idee di Afanasiev, scrisse la fiaba drammatica in versi “La fanciulla di neve”,  con musiche di scena di P. I. Čajkovskij. L’artista, nato e cresciuto nella Regione di Kostroma, fu allevato da una bambinaia che era solita raccontargli tantissime fiabe. Fu proprio questo contatto con la tradizione popolare a fungere da fonte d’ispirazione alla quale attingere in età adulta. Nella sua versione, Sneguročka è figlia di Primavera la Bella e Babbo Gelo, desidera la compagnia degli esseri umani, ma è priva della capacità di amare. Sua madre alla fine gliela dona ma, quando si dichiara finalmente al suo amato, viene colpita da un raggio di sole, ed essendo fatta di neve, si scioglie. Così, dopo anni di gelo perenne, con la morte della protagonista, tornerà a splendere il sole. Il sacrificio della Fanciulla di neve simboleggia la fine del freddo invernale e il concetto di amore-morte che pervade la storia significa che soltanto attraverso la morte dei protagonisti tornerà il sole e con esso la nuova vita della natura, che si perpetua ciclicamente. La storia di Ostrovskij fu poi adattata in un’opera in quattro atti da Rimskij-Korsakov, con elementi scenici realizzati dal famoso pittore Vasnetsov, che aveva già immortalato la giovane in un bellissimo dipinto.

Negli anni seguenti vari scrittori e poeti misero mano alla leggenda cristallizzando la presenza del personaggio nell’immaginario collettivo come simbolo legato alle feste invernali e, nel frattempo, per tutti diventò la nipote di Nonno Gelo (anziché la figlia).

Dopo la Rivoluzione, tutte le feste religiose vennero ufficialmente proibite e anche la figura di Sneguročka venne data alla fiamme in nome della religione di stato. Per la sua rinascita, bisognerà aspettare il 1935, quando si stabilì che il Capodanno dovesse essere la festa più importante dell’inverno, in sostituzione del Natale. Da lì in poi nei libri sulle feste invernali, accanto a un abete addobbato e a Nonno Gelo, cominciò ad apparire la giovane Sneguročka, in qualità di nipote e sua assistente, una vera e propria mediatrice nelle relazioni tra i bambini e Nonno Gelo.

“La fanciulla di neve Sneguročka”, l’idea di Giovanna Caridei

“Il libro – spiega l’autrice – nasce dalla constatazione che oggi più che mai viviamo in una società multietnica (continui flussi migratori, rifugiati/richiedenti asilo, classi miste, etc.) e per arrivare ad una reale, duratura e profonda accoglienza/integrazione occorre mettersi “in ascolto” dell’Altro, abbandonando la concezione etnocentrica”.

“Solo riconoscendo che l’Altro è portatore di una cultura altrettanto valida della nostra (senza farsi influenzare da giudizi di valore a prescindere, preconcetti, nel senso etimologico del termine) è possibile entrarvi in contatto, facendo semmai propri quegli elementi che si percepiscono come più affini. È ciò che è successo, tempo fa, ad un gruppo di mamme italiane, che casualmente hanno scoperto l’esistenza di questa figura molto poetica ed evocativa, “aiutante di Babbo Natale”, di tradizione russa e totalmente nuova all’interno della cultura e del costume italiani e non solo”.

“Da lì – prosegue l’autrice – l’idea di organizzare un evento in cui entrambe le tradizioni potessero convergere, trovare un punto di fusione, creando qualcosa di più e di diverso che la semplice summa delle parti. Ne è nata un’esperienza unica e coinvolgente, che ha spinto la sottoscritta ad approfondire le radici di tale leggenda, pensando una storia che, pur sempre fedele a se stessa, potesse ben inserirsi all’interno del panorama editoriale nostrano; perché no, conferendole anche il carattere della serialità, in linea col senso di rinnovamento e ciclicità che ogni Natale porta con sé”.

“Snegurochka – conclude l’autrice – vuol’esser, dunque, una sorta di stargate sull’universo Intercultura, mediatrice – non solo – tra Papà Natale ed i bimbi del villaggio, che quelli di tutto il mondo rappresentano… bensì costruttrice di ponti tra culture! In definitiva, la prima di tante trame, per tessere un unico grande ordito, quello del dialogo, della pace e della solidarietà!”.

Il testo, introdotto da Ljudmila Tsjupera, docente presso la scuola di lingua e cultura russa Russkoe Slovo di Roma, gode del patrocinio morale dell’International Writers and Translators’ House di Ventspils, Lettonia. Le illustrazioni a colori sono realizzate dall’artista Sabrina Longarini.

Sneguročka, la fanciulla di neve: una fiaba come ponte tra culture was last modified: febbraio 18th, 2017 by L'Interessante
18 febbraio 2017 0 commenti
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giallo
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Giallo a Varese: La Donna Sapiente e il delitto della Decima Cappella

scritto da L'Interessante

Giallo. Giallo. Giallo.

Di Erica Caimi

Sicuramente l’abilità di un buon affabulatore sta nell’elaborare una trama che faccia scivolare il lettore in un microcosmo verosimile e coinvolgente.  In questo senso, il nuovo romanzo giallo di Roberta Lucato “ La Donna Sapiente e il delitto della decima Cappella”, edito da Pietro Macchione Editore, riesce perfettamente. L’autrice amalgama l’invenzione letteraria a una competente conoscenza storico-geografica del territorio varesino e il risultato è uno squisito intreccio narrativo.

Chi è l’autrice del giallo?

Roberta Lucato vive e lavora in provincia di Varese. Bibliotecaria e giornalista pubblicista, cura la rubrica “Accadde 100 anni fa” per il quotidiano “La Prealpina”. È autrice di diversi saggi di storia locale, fra cui “Processi per stupro”, “Contrabbandiere mi voglio fare”, “Varese tra Expo e Belle Époque” e dei romanzi gialli “Saluti da Lugano”  e “La Donna Sapiente e il delitto della decima Cappella”. Entrambi i romanzi, sono frutto di un’accurata ricerca storica, spulciando negli archivi dei giornali di cent’anni fa e scavando negli atti giudiziari dell’epoca conservati nei tribunali.

La Donna Sapiente: ambientazione e personaggi

L’ambientazione è quasi onirica: una baldanzosa Varese della Belle Époque ospita la Fiera d’aprile, una manciata di giorni durante i quali la grande piazza Mercato si popola di bancarelle e carrozzoni dai quali spuntano stravaganti circensi. Alla manifestazione si può trovare davvero di tutto, tra cui il toboga, l’altalena, il tiro a segno, i Fenomeni Parascientifici, il Museo Meccanico, il Gran Serraglio, la Casa degli Specchi,  giostre, giostrine, banchetti strabordanti di dolciumi e persino l’attrazione delle attrazioni, la macchina delle immagini, il  taumaturgo dei sogni: il Cinematografo Kullmann. La ricostruzione storica si arricchisce pagina dopo pagina di particolari che irrobustiscono la tela narrativa. Il proprietario del Cinematografo itinerante, ad esempio, era un ambulante tedesco di nome Franz Kullmann, realmente esistito e molto conosciuto tra Piemonte e Lombardia nel corso dei primi decenni del ‘900.

Anche i protagonisti del libro si trovano a Varese per partecipare alla fiera, il buon Remigio, burbero Re Sputafuoco insieme alla moglie Palmira dividono il carrozzone con la dolce cantante Mimì e la povera Enrietta, detta “Donna Colosso” a causa del suo ingombrante peso. Non mancava neppure il Padiglione dei Fenomeni, dove il Nano e il Gigante si esibivano col loro numero da uomini “fuori taglia”. Queste erano le uniche prospettive di vita riservate alle persone con evidenti disabilità o disfunzioni fisiche agli inizi del ‘900. Agli sfortunati non restava che vivere ai margini della società o essere esibiti come fenomeni da baraccone. Una sera, la stravagante combriccola composta da Remigio, Palmira, Mimì e il Nano scorgono nell’oscurità la sagoma di un uomo accasciato a terra dolorante e gli si avvicinano per soccorrerlo. Poco lontano, s’imbattono in un altro straccione ossuto che dice di chiamarsi Gaìna, che in dialetto lombardo significa gallina, e di essere amico del mendicante in fin di vita. Grazie al Gaìna, scoprono che l’uomo lì disteso si chiama Natale Abbiati, che tutti conoscono come il Barbarossa o semplicemente Barba per via del colore dei capelli, rossi per l’appunto. Tempo addietro,  il destino incrociò la strada del Barba, un solitario cultore della bellezza, che viveva nella quattordicesima Cappella della Via Sacra, quella dell’Assunzione al Cielo della Vergine,  con quella del Gaìna, un poveretto scappato dal Veneto e  specializzato in furti notturni di galline. Così, l’improbabile coppia si trovò a condividere quel rifugio di fortuna e spartire quel poco che la vita gli aveva dato, ma che per entrambi era sufficiente per essere felici. Con loro viveva anche il Peòcio, pidocchio in dialetto veneto, un cagnolino mingherlino e sgraziato, ma infinitamente fedele, un esserino bistrattato ed emarginato che avevano adottato e che da loro non si allontanava mai. Il Barba era un uomo buono e ingenuo, un sognatore che sapeva cogliere l’incanto nascosto nel risvolto della semplicità, un’anima così lontana dal male che non sarebbe stato capace neppure di riconoscerlo.

Varese si tinge di giallo: il delitto e le indagini

Remigio, Palmira, Mimì, il Nano e il Gaìna trasportano il moribondo Barba in ospedale, ma il poveretto muore qualche giorno più tardi, accudito dall’affetto di quegli sconosciuti,  senza voler rivelare il nome del suo assassino e  perdonandolo in punto di morte. Il caso, diventato ufficialmente omicidio, viene raccolto dal Giudice Gagliardi, un integerrimo tutore della legge che con onestà s’impegna a risolvere il delitto, avvenuto, come si saprà soltanto in seguito, all’inizio della via Sacra. Le indagini prendono la giusta piega grazie ai “suggerimenti” della misteriosa “Donna Sapiente”, una famosa sciantosa, di cui s’ignora il nome vero, ma che all’epoca era piuttosto famosa tra politici e regnanti che si mettevano nelle sue mani per farsi predire il futuro. La chiromante, infatti, era solita dilettarsi con lettura del pensiero e divinazione nei luoghi d’incontro dell’alta società. La Donna Sapiente, giunta a Varese per la fiera, con i suoi cavalli dagli occhi di fuoco, chiede un incontro col Giudice Gagliardi, il cui contenuto è destinato a rimanere segreto, ma che darà una svolta decisiva alla vicenda.

Sullo sfondo, il nefasto passaggio della cometa di Halley,  un’attesa che aveva tenuto il mondo col fiato sospeso: avrebbe forse portato con sé cataclismi naturali?! Era quella la resa dei conti per l’umanità? L’autrice ricostruisce perfettamente il clima tragicomico, fomentato dalla stampa,  che si era venuto a creare attorno al fenomeno astronomico. I giornali erano pieni di interviste a scienziati e astronomi che preannunciavano l’evento: nella notte tra il 18 e il 19 maggio la terra avrebbe attraversato la coda della cometa, composta di gas rari e venefici. C’erano i creduloni e  gli scettici, ma il dubbio lavorava silenziosamente nella mente di ciascuno.  Si vendevano maschere ad ossigeno e persino bottiglie piene di aria pura, come antidoti per continuare a respirare nel caso di «spruzzatine» di gas cianogeno dalla coda di Halley.

A colpire è la grande solidarietà dei personaggi, il mangiafuoco e gli artisti di strada si distinguono per la  spontaneità con la quale soccorrono uno sconosciuto e se prendono cura fino all’ultimo.  I dialoghi, ben costruiti e le battute, spesso in dialetto varesino, rinforzano l’impianto narrativo, conferendogli maggiore verosimiglianza.

Che dire ancora del Barba e di tutti i protagonisti? Esiste forse modo migliore per rendere loro giustizia  se non quello di strapparli agli abissi del passato, che oscura volti e percorsi per ridare loro quella meritata dignità che sopravvive soltanto attraverso il racconto di vite vissute?

Giallo a Varese: La Donna Sapiente e il delitto della Decima Cappella was last modified: febbraio 14th, 2017 by L'Interessante
10 febbraio 2017 0 commenti
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le mie notti
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Le mie notti: Gianrenzo Orbassano presenta la sua silloge

scritto da L'Interessante

Notti.

Di Michela Salzillo

Housman diceva: io non so che cosa sia la poesia, ma so riconoscerla quando la sento. Un verso, questo, che appare come una dottrina, una libera legge difficile da smentire. La poesia, soprattutto quella contemporanea, è bella perché è irriverente, sta fuori dagli schemi pur conoscendoli benissimo. È fatta di sensazioni che la parola disegna come può, e quando ciò che tratteggia rispecchia i margini del reale o dell’immaginato vivo, tutto funziona da sé. Improvvisamente ogni pezzo sembra essere al posto giusto, anche se un po’ sgangherato. Quando un verso suona se ne frega di tutto il resto, perché l’unica cosa che gli conferisce dignità è il ritmo rubato all’emozione, qualunque essa sia. Le mie notti di Gianrenzo Orbassano è una silloge che probabilmente si sviluppa proprio sull’elementare principio della parola per istinto. Non a caso è lui stesso a confessare che la raccolta suddetta- pubblicata nel dicembre del 2014 da Spring editore- viene fuori da una sola apparente inerzia, che attraverso il dialogo con la poesia si tramuterà in una più chiara destabilizzazione; quel senso di disequilibrio che di solito anticipa un’ importante fase di cambiamento interiore.

Le mie notti: il 23 Febbraio a Casapulla

È fissato per giovedì 23 Febbraio l’appuntamento dal vivo con Gianrenzo Orbassano, che incontrerà il pubblico intervenendo nell’ambito della rassegna incontri d’Autore organizzata dalla pro-loco di Casapulla. La presentazione de Le mie notti si terrà alle ore 18.30 nella Sala Consiliare ‘’Vescovo Natale’’; Piazza Municipio, Casapulla (ce).

Interverranno:

Anna Di Nardo (Assessore alla Cultura del Comune di Casapulla)

Eliana Riva (Editrice Spring Editore)

Antonella D’Andrea (Direttrice Editoriale Spring Editore)

Elio Di Domenico (Docente di Lettere e Scrittore)

Letture a cura di: Santa Santillo

Relatore

Francesco Marino (Direttore Caserta Focus)

Le mie notti: sinossi e prefazione

‘’Le mie notti è un libro di poesie scritto di getto all’età di diciotto anni. È venuto fuori per destabilizzarmi, per modificare la routine quotidiana di un diciottenne qualunque fatta di prime volte e di porte chiuse in faccia.

Ho dovuto subire le conseguenze di scrivere, di essere quindi etichettato come uno scrittore, un poeta. Non che mi facciano schifo questi appellativi, ma preferisco non definirmi così: Io sono un appassionato e la parola stessa indica un interessamento profondo verso qualcosa. Di poesia ne ho masticato, forse inconsapevolmente, fin da tempi delle elementari, quando mio padre mi portava da casa a scuola con la macchina. In questa macchina c’era una radio che trasmetteva di continuo Lucio Battisti ed io imparai a memoria, giorno dopo giorno, alcune sue canzoni.

Poi in adolescenza ho avuto molti impulsi che mi hanno portato verso la musica e la scrittura in generale. Adoravo la new wave, quindi i Duran Duran e i Depeche Mode, in Italia invece ascoltavo i cantautori. Cos’è una canzone se non una poesia e viceversa?

Bowie faceva canzoni che erano poesia, De Andrè anche, con l’aggiunta che lesse Edgar Lee Masters e ci tirò fuori Non al denaro, non all’amore né al cielo.

Ritornando al libro, posso affermare che è stato concepito con molta frenesia e ingenuità che si notano nelle poesie, ci sono errori di punteggiatura e parole, a volte, ripetute.

È un libro quasi selvatico che parla dell’insonnia, dell’atmosfera che si crea una volta sceso il sole, la notte mi raccontava delle emozioni ed io le trascrivevo, senza neanche pensarci sopra. Parla di anarchia, di depressione, di solitudine, di controversie, di ossessioni, ma c’è anche una visione di speranza, quasi ad assicurarci che comunque dopo la notte, c’è il giorno. Il giorno che inizia inevitabilmente con la notte, da lei non si sfugge, è maestosa, per me una fabbrica di idee poiché è il momento delle ventiquattro ore dove si è più calmi e questo mi ha aiutato anche a pensare alla copertina del libro, raffigurante una sagoma nera sotto ad un lampione con delle stelle quasi scarabocchiate di fianco ad una luna disegnata con più accuratezza, contenente delle note musicali, giusto per ricordare l’importanza della musica.

È un libro che, una volta scritto, ho rinnegato subito come se, appunto, non l’avessi mai scritto io.

Perché la poesia non è mia, io non mi reputo un poeta, anzi mi darebbe fastidio esserlo.

Ciò che scrivo, mi piace pensare, sarà inevitabilmente sbranato da qualcun altro che lo farà tutto suo.

Ecco perché quando leggiamo qualcosa che ci colpisce esclamiamo: ‘’Hey, quello sono io!’’.

Nella scrittura ci si rispecchia, e penso non si può avere l’arroganza di crederci autori di nulla, la poesia è un volo pindarico nel blu dell’oceano, è come l’istinto, chissà poi dove cadrà.

Gianrenzo Orbassano: biografia

Gianrenzo Orbassano nasce a Torino ormai ventuno anni fa, nel mezzo degli anni novanta,

lasciò la terra natìa a causa del lavoro dei genitori e venne adottato dalla Campania (fu) Felix, da Caserta e da Casapulla, piccolo paese di provincia ma con una grande storia alle spalle spesso dimenticata.

Frequenta e si diploma in un Istituto Tecnico Commerciale e scopre le poesie di Baudelaire e i racconti di Bukowsky, oltre alla musica cantautorale italiana ed inglese.

Nel 2014, con la Casa Editrice Spring, pubblica il suo primo volume di poesie intotalato “Le mie notti”, riscuotendo un discreto feedback da parte dei lettori, presenziando ad eventi culturali e presentazioni nelle scuole e nei locali del casertano.

Nel 2016, insieme alla regia di Alessandro Calamo, lancia un videoclip, “Amore Universale” che è una canzone sulle dissonanze e delle ossessioni derivate da un sentimento, l’amore, ormai praticato con troppa schematicità, senza considerare la spontaneità e la magia che solo l’amore può dare.

Dal 2016 collabora con la testata giornalistica on line Caserta Focus diretta da Francesco Marino.

Le mie notti: Gianrenzo Orbassano presenta la sua silloge was last modified: febbraio 9th, 2017 by L'Interessante
9 febbraio 2017 0 commenti
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Rencontres
CulturaEventiIn primo pianoLibriMusica

Rencontres di Antonio Cobianchi

scritto da L'Interessante

Rencontres.

Rencontres.

 

In occasione della presentazione del volume “Rencontres” 2016 a cura di Aldo Antonio Cobianchi, Segretario generale della Società Italiana dei Francesisti – SIDEF, e alla presenza del Console generale di Francia a Napoli Jean-Paul Seytre, l’Institut Français di Napoli ospiterà Giovedì 9 febbraio 2017 alle ore 18,00, via Francesco Crispi 86, un evento che intreccerà Arte, Letteratura e Musica. Oltre alla presentazione del volume e al concerto dei maestri Giuseppina Gallozzi e Sergio Caggiano, che eseguiranno musiche di Marais, Fauré, Schumann e Schubert, saranno esposti per la prima volta a Napoli alcuni dipinti di Alfonso Benadduce, pittore e artista di teatro. I quadri pubblicati nel volume Rencontres resteranno in mostra nella sala Blanc et Noir del palazzo del Grenoble tutti i giorni (escluso la domenica) dal 9 al 18 febbraio 2017 (orario 9h -19h).

Rencontres di Antonio Cobianchi was last modified: febbraio 7th, 2017 by L'Interessante
7 febbraio 2017 0 commenti
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