Don Camillo
Di Erica Caimi
“ Piccolo Mondo: Don Camillo ” è stato tradotto fin da subito in moltissime lingue, eccezion fatta per il russo e il cinese, a causa di evidenti motivi politici
La storia della traduzione in russo è intimamente legata alla passione e alla tenacia della sua traduttrice, Ol’ga Gurevič, ex studentessa di italiano, oggi insegnante all’Università di Mosca. La prima traduzione integrale della raccolta esce soltanto nel 2012, mentre l’edizione italiana è datata 1948.
In Russia, Guareschi è stato definito da alcune case editrici “un autore la cui pubblicazione è fortemente sconsigliata”, altre hanno giudicato il testo di Piccolo Mondo “quasi blasfemo”, un’altra ancora occupata per lo più nella diffusione di opere medico-scientifiche si diceva pronta a pubblicare e vendere i racconti dell’autore come “medicina per l’anima”.
Ol’ga Gurevič ci racconta così il sogno di tradurre Guareschi, com’è nato e come si è concretizzato grazie alla sua ostinazione e ci svela le meraviglie e le difficoltà della professione del traduttore.
Una traduttice è prima di tutto una lettrice. Da lettrice, quali sono le vicende che l’hanno particolarmente colpita quando ha letto “Mondo piccolo. Don Camillo”per la prima volta?
Ho letto per la prima volta “Mondo piccolo. Don Camillo” nel 1994, avevo appena concluso il secondo anno all’Università. Era il mio primo viaggio in Italia, eravamo venute per frequentare un Corso di Lingua e Cultura a Gargnano del Garda. Abbiamo visto uno dei film della saga di Don Camillo che mi è piaciuto molto, anzi mi ha proprio colpito il fatto di vedere un prete come protagonista, per giunta positivo. Alcuni giorni dopo ho trovato su una bancarella a Salò una vecchia edizione del libro che costava, me lo ricordo ancora, 5 mila lire. L’ho comprata e non me ne sono mai più separata. Tra i racconti del primo volume quelli che mi hanno colpito di più sono “L’uovo e la gallina” e l’ultimo “Rosa e giallo” per la loro profondità cristiana, per quel senso di tristezza e speranza, ma anche per l’umorismo che non sfocia nella satira, non deride e non insulta, ma sa svelare la bellezza delle cose, delle persone, del creato.
Preferisce i libri o i film?
Indubbiamente i libri. Non c’è paragone.
Ogni libro ha la sua storia, ma anche la traduzione. Ci racconta brevemente la storia della traduzione in russo di “Piccolo Mondo. Don Camillo”?
La storia comincia nel 2002 con la pubblicazione di alcuni racconti su una rivista letteraria, tradotti da un’altra traduttrice che non hanno suscitato grande interesse nel pubblico per diverse ragioni. Io fin dal 1994 sognavo di tradurre “Mondo piccolo” e ho fatto persino un tentativo con una casa editrice cattolica che non ha approvato il progetto giudicando il testo “quasi blasfemo”. Nel 2010, però, mi hanno proposto di pubblicare la traduzione di una decina di racconti sulla rivista “Inostrannaja literatura” (“Letterature straniere”), una raccolta che ha avuto un riscontro molto positivo. L’anno dopo, a Mosca, è arrivato un nuovo direttore all’Istituto Italiano di Cultura, il professor Adriano dell’Asta, che è stato il vero promotore della pubblicazione del libro. Così nel dicembre 2012 è uscito il primo volume di Don Camillo seguito dalla “Favola di Natale”.
Mi ha colpito molto il fatto che la casa editrice per la quale stava preparando un testo di accompagnamento alla lettura per studenti russi di italiano l’abbia definito “un autore la cui pubblicazione è fortemente sconsigliata”, per quale ragione? Che idea si è fatta? Era pur sempre il 1999….
La ragione è semplice. Il paese ha cambiato nome, ma le persone sono rimaste le stesse, con gli stessi modelli sovietici che si adottavano nelle scuole sovietiche.
Don Camillo e Peppone sono antagonisti su un piano ideologico, ma nel contrempo, sono anche uniti da un profondo sentimento di amicizia che finisce per prevalere sulle differenze. Sono due universi diversi, ma dipendenti, la cui comunicabilità è stabilitita grazie al legame umano. La trova un’esperienza verosimile anche nel mondo di oggi?
Certo. Il mondo è ricco di divisioni e l’opera del Signore è quella di unire i cuori. Tra due uomini si può sempre trovare un terreno d’intesa e di affetto, purché non s’intrufolino questioni ideologiche e politiche.
Nel dopoguerra, forse anche come reazione al fascismo, molti italiani militanti nel PCI sono stati affascinati dall’esperienza sovietica. Come guidica il comunista Peppone in relazione alla vostra storia nazionale?
Inverosimile.
Da studiosa di cultura russa, ritengo che alcuni comunisti italiani del dopoguerra abbiano una visione idealizzata, “politicizzata” e sotto certi aspetti ingenua dell’Unione Sovietica. Guareschi affronta con umorismo intelligente paure e temi talvolta politici, inserendo sullo sfondo le figure di Stalin e Chruščëv, soprattutto in Compagno Don Camillo. Lei da studiosa di cultura italiana, cosa pensa di Peppone come uomo politico?
Non penso mai a Peppone come un vero uomo politico. Considero l’universo narrativo dei racconti del “Mondo piccolo” al pari di una parabola. All’interno di quello spazio narrativo lo scrittore inserisce gli schemi comportamentali e pscicologici dei personaggi, riconducibili soltanto a quella realtà inventata. Lo conferma anche l’autore stesso quando, rivolgendosi a un giovane lettore di Candido, lo esortava a non pensare al comunismo nel modo in cui lo si può immaginare attraverso le “fiabe del mondo piccolo”. Il comunismo, scrisse Guareschi, è una cosa tremendamente seria. Un discorso a parte è la visione dell’URSS falsa, zuccherata e raccontata attraverso la lente ideologica che si ritrova in tanti diari veri, resoconti di reali pellegrinaggi verso il “faro della civiltà sovietica” . In questo, la riproduzione di Guareschi, che non aveva mai messo piede sul terreno dell’URSS, era azzeccattissima, una resa particolareggiata del clima e dell’atmosfera stessa che viene ricreata brillantemente senza però inserire segni distintivi o dettagli realistici, privo dell’intenzione di sembrare verosimile. Non verosimile, ma vero.
Forse perché mio nonno é stato costretto a partecipare alla campagna di Russia, ma Compagno Don Camillo è la raccolta che preferisco. Il racconto del compagno che si reca in Unione Sovietica non per questioni politiche, ma per cercare i resti del fratello caduto colpisce per delicatezza e umanità. Commuove e fa riflettere anche la precaria sopravvivenza della fede nell’ateismo di stato. Come giudica la descrizione di Guareschi dell’Unione Sovietica di quegli anni? Era difficile vivere la fede in un paese ateo? Come pensa il libro verrà accolto dal pubblico russo di oggi? Lo trova ancora moderno? Per me cattura un’Italia stereotipata in dissolvenza, nella quale riconosco alcune caratteristiche della mentalità dei miei nonni, nati e vissuti in una piccola cittadina della pianura padana.
E un libro bellissimo, ma scritto per italiani da un italiano. I veri protagonisti del libro sono i comunisti italiani che presi dall’ideologia comunista perdono la propria italianità. Attraverso il viaggio in quello che loro credono il paradiso, inferno per i loro avversari, si ritrovano nel purgatorio sovietico, dove, ad uno ad uno recuperano la propria identità nazionale ravvicinandosi a Dio e alla propria Patria, tornando ad essere italiani. Non so non solo come possa essere letto e accolto dai russi, ma neanche come questo si possa trasporre.
Come pensa sarebbe stata accolta la traduzione del libro in Unione Sovietica? Sarebbe stata possibile?
No, assolutamente no. Neanche per sogno.
Il lavoro di traduttrice è molto delicato e spesso determina il successo o l’insucceso di un’opera nella lingua di arrivo. Una traduttice è anche e soprattutto co-autrice. È stato stato difficile far parlare in russo Don Camillo e Peppone? Qual è stato il termine più difficile da trasporre? Ci sono molti concetti culturalmente e temporalmente collocati, mi viene in mente “la casa del popolo”. Qual è il lavoro di una traduttrice quando incappa in queste difficoltà linguistiche?
Il lavoro è sempre lo stesso: sposare la fedeltà al testo originale ed essere credibili nella lingua di arrivo. Cercare le connotazioni giuste. Un semplice esempio: gli uomini della Bassa girano per le strade con tanto di fazzoletto rosso al collo. Traducendo questo accessorio utilizzando il medesimo cliché, nell’immaginario del lettore russo li trasformerebbe in ragazzini delle medie (in Unione Sovietica una delle organizzazioni giovanili del PCUS era il movimento dei pionieri, in russo пионерское движение, che raggruppava i ragazzini dai 10 ai 14 anni. Il loro tipico accessorio era il fazzoletto rosso legato al collo [N.d.A.]). Bisogna cercare un alro termine, quello che si usa nei racconti dei garibaldini, per esempio. Lo stesso vale per i soprannomi.
Altre problematiche sono legate al lessico ecclesiastico, agli appellativi, all’uso degli spregiativi di Don Camillo, ma anche agli oggetti della sua quotidianità. Non bisogna far diventare Don Camillo un prete ortodosso, perché equivarrebbe a violentare la lingua.
Con la traduzione della casa del popolo, invece, mi hanno aiutata molto le virgolette. Comunque è un lavoro sempre bello e coinvolgente, soprattutto quando si ha a che fare con un testo semplice e allo stesso raffinato, pieno di umorismo, limpido e preciso, come quello di Guareschi..
Ha avuto difficoltà nel trasferire l’ironia e tutti quegli elementi che rendono il libro così specificatamente italiano e fortemente legato al territorio della “Bassa”?
Certo. Ma mi hanno aiutata moltissimo i figli dello scrittore Alberto e Carlotta Guareschi, che sono stati instancabili nel darmi spiegazioni e consigli, e mi hanno fatto conoscere la Bassa con il sole estivo che martella sulla testa e le nebbie invernali, il grande fiume, gli argini, i piloni, la gaggia, le favole e le leggende, il suono del dialetto locale, il sapore del culatello e del parmigiano. Non ce l’avrei mai fatta senza di loro.
Progetti futuri. Sta lavorando ad altre traduzioni di Guareschi?
Fra pochi mesi uscirà la prima parte di “Don Camillo e il suo gregge”, entro un anno la seconda. E poi… vedremo.